Cinquant’anni di toga. Cinquant’anni al servizio della comunità e della legge che il 12 settembre gli sono valsi la Medaglia d’Oro consegnatagli, nel corso di una sobria cerimonia che si è svolta nell’aula F del Tribunale civile di Cuneo, dal presidente dell’Ordine Alessandro Ferrero. Un traguardo importante per l’avvocato Vincenzo Griva, festeggiato insieme alla collega di Saluzzo Elena Fillia. Un traguardo che, sottolinea lo stesso Griva, arriva poco dopo un altro momento importante: l’ottantesimo compleanno, il 24 agosto. Una vita dedicata alla comunità e alla legge, si diceva, trascorsa a fianco della moglie Anna Mantini. Anime gemelle nella vita e nella professione: entrambi avvocati, entrambi con impegni attuali e pregressi in politica.
Ci racconta il suo percorso professionale?
«Mi sono laureato nel 1970 a Genova (110 con lode e medaglia), dove mi ero trasferito dopo i primi due anni di studi all’Università di Torino. Ho poi svolto la pratica a Mondovì nello studio dell’onorevole Raffaele Costa, che all’epoca era ancora solo consigliere comunale ma già affermato come avvocato. Dopo l’esame da procuratore legale mi sono iscritto all’Albo professionale dell’Ordine degli Avvocati di Cuneo il 2 luglio 1973. Ho aperto il primo studio a Fossano in Via Roma 73 con altri professionisti e dove sono rimasto circa due anni. Infine, dopo un breve periodo nel palazzo della Banca San Paolo, sono approdato al Palazzo Daviso di Charvensod dove si trova il mio attuale studio».
Come ha capito, da ragazzo, di voler fare l’avvocato?
«È stata una scelta arrivata per gradi. Di fatto quando mi iscrissi a Giurisprudenza lo feci perché non avevo un’idea precisa e quella mi parve la Facoltà che apriva più strade e, nel contempo, mi consentiva di rimandare la scelta definitiva, avendo le idee più chiare».
In questi anni il mondo dell’avvocatura è sicuramente cambiato. Cosa ne pensa?
«So che molte cose sono cambiate nelle modalità di accesso alla professione, ma non conosco i dettagli non avendo più nessuno in famiglia (mia moglie e mia figlia sono anche loro avvocati) che debba sostenere l’esame di abilitazione all’esercizio della professione. Quello che vedo è un notevole aumento di colleghi rispetto ai miei tempi; allora a Fossano eravamo solo in sette: io, Della Torre, Lamberti, Maiocchi, Vicario, Morra e Fea di Bene Vagienna, che aveva un recapito anche a Fossano. Attualmente siamo una trentina. Dati i tempi difficili, è ipotizzabile che molti giovani si rivolgano alla libera professione per mancanza di altre occasioni di lavoro».
E dell’accorpamento dei tribunali? Sino al ’97 anche Fossano aveva la sua Pretura…
«C’erano quattro Tribunali: Cuneo, Alba, Mondovì e Saluzzo e, con le Preture, un presidio in tutte le sette sorelle. Fossano aveva la Pretura e il Giudice di Pace. Il pretore era Paolo Perlo e il Giudice di Pace Stefano Floris. L’ambiente era severo ma c’era un rapporto umano, pur nel massimo rispetto dei ruoli. Oggi sei un numero. Sono rimasti solo Cuneo e Asti. Oggi c’è il processo telematico e con il Covid i Tribunali si sono svuotati. Prima erano sempre piuttosto affollati e i giorni di udienza erano anche occasioni di incontro tra colleghi per scambiare pareri e approfondire questioni. L’udienza civile era fissata per tutti alle nove di un giorno predeterminato della settimana in una grande aula e le cause erano trattate nell’arco della mattinata, mentre oggi ogni causa ha un suo orario e viene trattata nella stanza del giudice».
Lei è stato anche consigliere per Alleanza Nazionale dal 1994 al 1999. Com’è nata la passione per la politica?
«È nata quando ero bambino. Nel cortile di casa nostra c’era la tipografia Capra. Il papà pianse due figli morti in giovane età: uno al fronte, a Canicattì, l’altro ucciso durante le rappresaglie partigiane, fatto scendere da un camion e fucilato alla schiena nei pressi della frazione Murazzo. Come suo padre aveva aderito alla Rsi. Capra era un uomo onestissimo e sensibile alle esigenze delle persone bisognose e non parlava volentieri delle sue sventure ma ad ogni anniversario di quel tragico evento mandava il ricordino di suo figlio a chi si diceva lo avesse ucciso. Ne fui colpito. Come mi colpirono, quando avevo appena dieci anni, i tafferugli contro il comizio del Msi in piazza Duomo. Doveva parlare il generale Fetterappa Sandri, ma non riuscì perché gli tagliarono i fili del microfono e le Forze dell’ordine dovettero intervenire con gli idranti per fermare chi cercava di assalire il palco dove, nel frattempo era stato appiccato il fuoco. Per ricordare Mario Capra nel 1994 decidemmo di intitolargli il circolo fossanese di Alleanza Nazionale. In collegio a Torino conobbi Antonio Maria Costa, fratello di Raffaele. Fu espulso dopo aver contestato la decisione del collegio di ospitare un concerto dei Cantacronache, di ispirazione comunista. Aveva scritto: “Il marxismo è entrato in questo collegio con l’appoggio della direzione. Ne uscirà colpito dalle nerbate del Codice penale”. Due ore dopo venne allontanato dal collegio. Fu in quegli anni che mi iscrissi al Msi».
Un impegno che è anche di sua moglie, Anna Mantini, a sua volta avvocato, giornalista e Consigliera di Parità della Regione Piemonte. Come siete riusciti a conciliare vita professionale, familiare e politica?
«Sono stato il primo fossanese a rappresentare la destra in Consiglio comunale, in seguito non mi sono più candidato per non trascurare il lavoro e, successivamente, è stata eletta mia moglie per quattro mandati tra il 1999 e il 2019. Essendo un perfezionista ho dedicato molto tempo al lavoro compresi il sabato e la domenica, trattenendomi in studio anche fino alle 23, se necessario per studiare una pratica. Svolgendo la stessa professione e condividendo la passione politica, non è stato difficile conciliare con mia moglie i vari aspetti della vita familiare».
Articolo a cura di Erika Nicchiosini