Le colline senesi delineano un panorama simile a quello di Langhe, Roero e Monferrato. «C’è una certa affinità tra Toscana e Piemonte – ci dice Alessandro Rossi al telefono dalla sua abitazione nelle campagne maremmane -, territori dove l’agricoltura è fondamentale. Così come per tutto il mondo. Non a caso la guerra in Ucraina ruota anche attorno al tema del grano». Abbiamo parlato di attualità ed economia con il direttore di Forbes Italia (e L’Espresso) che venerdì 27 ottobre sarà ospite dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo per il Premio Economia del Futuro.
Direttore, qual è lo stato di salute dell’agricoltura?
«Le campagne negli anni sono state abbandonate ed è cambiata l’agricoltura. Se un tempo c’era più miseria, però si curavano boschi e viottoli. Oggi la meccanizzazione ha portato a un’agricoltura intensiva ed estensiva. A fianco delle viti, c’era il ciliegio, era vera biodiversità. Magari ora il vino ha maggiore qualità. Però il tema è immenso».
Che cosa ostacola l’agricoltura come volano per l’economia?
«C’è la questione del difficile rapporto con la Comunità europea che a volte costringe a indirizzare le produzioni o a contenerle. Poi i sussidi aiutano perché basta una grandinata e il raccolto se ne va. Ma il Made in Italy cos’è se non l’agricoltura? Cibo e vino sono i marchi più forti, i prodotti agricoli consentono alle piccole aziende vinicole, famigliari e storiche, di dare lavoro non solo agli stagionali. E tanti ragazzi ora si stanno indirizzando verso queste professionalità (vedi agronomo) dove c’è forte domanda e stipendi non soltanto da bracciante».
Con una dicotomia tra nord e sud?
«Da una parte pomodori e angurie richiedono appunto braccianti, dall’altro il vino che prevede metodi certo non paragonabili al caporalato… In Piemonte, Toscana ed Emilia la qualità vince e anche il lavoro è più tutelato, curato, da parte degli agricoltori c’è più attenzione agli aspetti socioeconomici dei collaboratori e dipendenti».
In generale, l’economia italiana che momento attraversa?
«Non è fantastico, il Pil sta scendendo e non rispetterà le aspettative, una serie di settori come la manifattura stanno perdendo colpi, la domanda interna cala vorticosamente e il mondo si spacca in due tra super-ricchi e super-poveri. Questo non aiuta. Ci sono le bottiglie da 100 euro, ma se rinunciamo ai milioni di consumatori che bevono vino da 10 euro il problema emerge e vale anche per prodotti come latte e pasta. La contrazione del carrello della spesa che è inflattivo, è un segmento cresciuto più del 9% con un’inflazione complessiva al 5%. La gente fa sempre meno spesa e i prezzi aumentano. C’entra il costo di carburante e trasporti ma c’è pure la speculazione di chi si accaparra le derrate e poi le gestisce a suo vantaggio».
Forbes premia i manager migliori: si tiene conto anche di un’auspicabile maggior consapevolezza sociale?
«Sono stato a Milano, al Sustainability Awards che affrontava il tema della sostenibilità assieme a 200 aziende. È venuto fuori un mondo diverso da come ce lo aspettiamo. Il tema Esg un po’ va di moda e non è bello perché le mode passano, ma per un’azienda quello della sostenibilità è lo sbocco ideale. I veri ricchi dovrebbero redistribuire non denaro, ma servizi e disponibilità per rendere la vita migliore a collaboratori, dipendenti e agli stessi manager con condizioni di lavoro più rispettose dell’ambiente ma anche delle persone. Esiste già un piccolo microcosmo che aiuta le famiglie, con l’asilo per i bambini al posto di lavoro, la mensa, i trasporti: sono aspetti molto sentiti e seguiti da tantissime aziende, anche qui con differenze tra nord e sud, ma per esempio tra i manager della Sicilia il sentimento di condivisione del successo è forte, cresce».
Servirebbe, a supporto, una politica efficiente.
«Il problema è immenso, la classe politica riproduce se stessa e la legge elettorale che non obbliga gli eletti a rendere conto agli elettori sul territorio è mortale. Se oggi sei un politico in Piemonte e domani vai in Toscana, lo decide il segretario. Ma così intanto cresce il disamore addirittura per la democrazia, divenuta ormai pura gestione del potere da parte di un’élite e questo porta al populismo, ai sentimenti delle destre estreme, perché il problema diventa paradossalmente la democrazia stessa».
C’è una soluzione?
«Bisognerebbe rendere la democrazia più condivisa facendo partecipare i cittadini – non dico come in Svizzera dove si vota per ogni questione -, ma almeno il rapporto con la politica sia più chiaro. I politici siano eletti veramente dal cittadino e poi è indispensabile cercare personaggi di caratura più elevata».
Le guerre rimettono però in discussione tutto?
«Io immaginavo che presto ci sarebbe stata una pace tra Russia e Ucraina, perché le elezioni americane che si avvicinano non consentono più all’amministrazione Usa di foraggiare gli aiuti militari: sarebbe un vantaggio per i conservatori e Trump. Ero confidente che a breve qualcosa sarebbe successo. Invece si è acceso il nuovo focolaio nella Striscia di Gaza, spostando attenzione e risorse da una parte all’altra. E se gli americani devono scegliere chi aiutare, scelgono gli israeliani».
E il ruolo della Russia?
«La Russia qui non compare però ne trae vantaggio, un po’ per la distrazione delle risorse e poi perché la guerra ovunque assedia l’Occidente. In Africa, con il problema delle derrate alimentari, alcuni colpi di stato si sono ispirati alla Russia di Putin. E i flussi migratori hanno il ruolo di una nuova arma atomica verso l’Occidente, esercitando una pressione insostenibile che porta diseguaglianze inevitabili. Sopperire al problema significa gestire fondi, dar da mangiare e dormire a queste persone che ne hanno bisogno, con un costo importante. In Europa ce ne facciamo carico noi. Io confido nelle diplomazie occidentali e in personaggi come Erdogan che resta controverso, ma può far valere certi interessi senza forzare la mano: ha il secondo esercito della Nato e non può andare contro gli alleati, anche se è paradossale che un quasi dittatore possa portare un equilibrio sia con la Russia sia con i paesi arabi».
CHI È
È direttore editoriale di Forbes Italia e Bluerating, oltre che direttore del settimanale L’Espresso. Senese della contrada dell’Onda, ha mosso i primi passi professionali sul territorio, al Nuovo Corriere Senese, prima di passare alla redazione toscana de L’Unità
COSA HA FATTO
Nel 1986 ha fondato Milano Finanza con il nascente Gruppo Class Editori, lavorando in seguito alla redazione economica de La Repubblica. Ha fondato e diretto Bloomberg Investimenti, collaborando a Italia Oggi, Panorama Economy e Finanza & Mercati
COSA FA
A fine 2022 il gruppo editoriale Bfc Media gli ha affidato la direzione del settimanale L’Espresso al posto di Lirio Abbate, confermandolo però anche alla guida di Forbes Italia, edizione italiana del magazine “più famoso al mondo”. Inoltre, fuori dal giornalismo, è autore di alcuni libri giallo-comici assieme al celebre macellaio toscano Dario Cecchini