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«Imprese cuneesi: famiglia e passione il vero segreto»

Il giornalista e scrittore Adriano Moraglio analizza il tessuto imprenditoriale della Granda: «Il mix tra lavoro e tempo libero darà alle aziende più creatività e respiro. Le donne il valore aggiunto»

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Cronista all’agenzia Ansa e redattore nelle sedi di To­rino e Milano per Il Sole 24 Ore, Adriano Mo­raglio si è dedicato negli ultimi anni alla narrativa, raccontando storie di im­pren­­ditoria. Proprio per la sua conoscenza del settore – in occasione della sua partecipazione a un tavolo sull’educazione finanziaria, or­ganizzato a Cuneo sotto l’egida del Club Dirigenti Vendite e Marketing -, noi di IDEA lo abbiamo intervistato, tracciando un bilancio sul ruolo dell’informazione, sui punti di forza delle aziende piemontesi e cuneesi, oltre che sui suoi progetti futuri.

Moraglio, quali sono oggi i rischi e le opportunità dell’informazione?

«Ho lavorato per tanti anni all’agenzia Ansa, è stata la mia palestra e lì mi hanno insegnato l’aderenza alla realtà, cioè l’idea di un racconto che sia il più possibile veritiero. Il rischio nell’informazione è quello di guardare questa realtà con una lente di pregiudizio. Riman­go dell’opinione, diversa da quella che va per la maggiore, che il lavoro dei giornalisti oggi sia ancora molto aderente alla realtà. So­no parecchio attratto da ciò che fanno i miei ex colleghi».
Il tema dell’informazione si le­ga anche al mondo della finanza. Da esperto del settore, quale crede sia il segreto dell’imprenditoria piemontese?
«Il segreto è nella passione che gli imprenditori mettono nel portare avanti le loro im­prese e nell’identificare sé stessi e la propria vita con esse. Così facendo, riescono a mantenere la barra dritta, ad affrontare le difficoltà e a trovare collaboratori competenti. La forza è quindi l’identificazione di queste persone in quello che fanno».

Cosa pensa, in particolare, dell’imprenditoria della provincia Granda? Quali sono le prospettive future?
«Conosco alcune realtà della provincia. E pure in queste tro­vo una struttura famigliare solida, che si identifica con l’esperienza imprenditoriale e si alimenta nella volontà di portare avanti l’attività, puntando anche sulle nuove ge­nerazioni e sull’innovazione. Se ci sono solidità patrimoniale, solidità so­cietaria e aspirazione continua all’innovazione, le a­zien­de stanno in piedi e han­no un futuro assicurato».

A proposito di imprese cu­neesi, negli scorsi anni ha scritto un libro sulla storia del­la Ba­locco insieme al compianto Al­berto. Che ricordo ha?

«Alberto è stato un grande ami­co. Anche dopo aver scritto il libro, ci si vedeva, ci si confrontava e spesso ricevevo da lui molti consigli e incoraggiamenti. Penso con no­stalgia e struggimento al no­stro rapporto. Adesso sono in contatto con la sorella Ales­san­dra e la figlia Diletta, che stanno portando avanti un’e­redità pesantissima, quel­­­la di un imprenditore visionario».

Negli anni si è specializzato nella scrittura di storie di imprenditoria. Cosa deve fare uno scrittore per non sentirsi più giornalista?
«Deve innanzitutto cambiare stile e modalità di scrittura. La narrativa è una cosa diversa dal giornalismo: è un lavoro che richiede tempo, disponibilità alla lettura, ricerca di insegnamenti da altri scrittori. Tante volte scivolo ancora nella struttura narrativa giornalistica, per cui devo mettere delle briglie».

Nei suoi libri e nelle storie ha sviluppato tanti temi. Sta già lavorando ad un nuovo progetto?

«Mi sto in qualche modo specializzando sull’universo im­prenditoriale femminile. L’ho fatto innanzitutto con un libro pubblicato l’8 marzo 2022, “L’impronta delle don­ne. Sette racconti: quando in azienda il contributo femminile diventa fondamentale”. A fine anno do­vrebbe uscire un nuovo li­bro, che racconta altre storie di donne imprenditrici, stavolta dal titolo “Nel nome delle donne. Sette racconti: quando in azienda la presenza femminile si fa decisiva”. C’è una differenza tra le due opere».

Ce ne parli.
«Nella prima serie abbiamo raccontato storie di donne che sono diventate imprenditrici su invito di mariti, compagni, fratelli o soci. Queste sette donne non avevano mai pensato di fare le imprenditrici ma, quando lo sono diventate, si sono rivelate fondamentali per l’apporto che hanno dato “dietro le quinte”, specie nel settore commerciale. Il secondo li­bro racconterà storie che sono attualmente più in evidenza. Si tratta di sette donne che appaiono più in prima linea, la cui identificazione con l’azienda è quasi totale. Per dare una diffusione sempre più ampia a queste storie, sto inoltre curando dei podcast su Spotify».

Prima abbiamo parlato della provincia di Cuneo. La frequenta spesso e la conosce be­ne. Cosa le piace di più?

«La provincia di Cuneo mi piace moltissimo proprio perché incarna questa imprenditoria famigliare e cocciuta, che va avanti e si innova. La grande imprenditoria cuneese si è fondata su una generazione che ha basato la sua vita sul lavoro. Questa è stata e continua ad essere la sua ricchezza. Le nuove generazioni hanno un rapporto di­verso con il lavoro, che non è più tutta la loro vita, cosa che a mio avviso determina una riflessione interessante».

Quale?

«Il mix tra vita dedicata al lavoro e tempo libero apporta alle stesse imprese un respiro e una creatività maggiori. Da questo punto di vista soprattutto le donne sono un ulteriore grimaldello. Quando si relazionano, a differenza de­gli uomini, non portano con sé soltanto lo specifico del la­voro e favoriscono in questo modo l’unione e l’amicalità tra persone».

Articolo a cura di Domenico Abbondandolo

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