Giusto un anno fa ha creato assieme a suo marito, l’ingegner PierPaolo Carini, una nuova Fondazione con annessa mission culturale: «Valorizzare e diffondere le arti visive, in varie forme». Nel suo studio di Alba, in coincidenza con l’esposizione di Franco Mazzucchelli, la presidente Marta Mancini può già stilare un primo positivo bilancio.
Ci riassume l’attività già svolta?
«La prima uscita è stata dedicata a Giulio Paolini, artista concettuale vincitore del Praemium Imperiale per la pittura nel 2022. Ne abbiamo tratto un volume in cui c’è anche la genesi della nostra Fondazione, partendo dall’ispirazione di una copia di “Ossi di Seppia”, autografata da Eugenio Montale. Poi è arrivato il libro su Italo Calvino e, in occasione dei 100 anni dalla sua nascita, la mostra organizzata assieme alla Fondazione Pavese, ancora aperta a Santo Stefano Belbo. Proprio Calvino e Pavese erano legati da una bella amicizia e l’abbiamo testimoniata con il “viaggio” tra appunti, testi e lettere, grazie ai saggi di Andrea Cortellessa, Marco Belpoliti, Domenico Scarpa e Claudio Pavese il quale (non è parente) ha curato la collezione di tutte le prime edizioni Einaudi. Ora stiamo anche pensando di organizzare una serata. Mi piace la carta, non sparirà: anzi sarà la nostra salvezza».
Intanto è stata inaugurata la mostra dedicata all’artista milanese Franco Mazzucchelli.
«È il frutto degli incontri con i curatori Gianni Schiavon e CCH, il progetto ha trovato sostanza grazie agli spazi messi a disposizione da Famija Albeisa, che ci ha dato carta bianca. Ne è scaturita un’installazione che è un bel dialogo tra l’architettura medioevale della chiesa di San Domenico e il lavoro di Mazzucchelli: fu innovativo negli Anni ’60 ed è attuale ancora oggi».
Che cosa si prova entrando in San Domenico?
«La struttura non trasmette un senso di oppressione ma di liberazione. C’è come una spinta verso il tabernacolo d’oro, realizzato in plastica gonfiabile secondo la cifra stilistica dell’autore. Si prova una sensazione di leggerezza. Mazzucchelli arriva dalla land art (da cui è nata l’arte povera oggi in voga), con interazioni nel sociale. Lui abbandonava le sue opere nelle spiagge o davanti a fabbriche come l’Alfa Romeo di allora, poi osservava la reazione del pubblico. C’era stupore. Un po’ come quando si entra a San Domenico. Devi scendere tre gradini e rischi di inciampare perché sei immediatamente rapita dal fascino dell’installazione».
Che è un grande gonfiabile a forma di spirale.
«Gonfiandosi ha preso forma, si piegava, viveva quasi di vita autonoma. È stato sospeso a 12 metri di altezza con l’uso di carrucole, dopo uno studio artistico e architettonico».
Dominerà gli spazi anche ad un prossimo concerto.
«Il primo c’è già stato il 26 novembre nell’ambito del Festival Uto Ughi di musica classica per i giovani, organizzato da Natascia e Ivan Chiarlo. Poi, l’8 dicembre, ci saremo noi in occasione della festa sociale della Famiija Albeisa, dopo il loro pranzo alle 18.30 ci ritroviamo in San Domenico».
Con l’Ensemble ArSonus.
«Assieme alla mia amica Marzia Castellini, cremonese come me, artista del Coro del Teatro alla Scala, è nata l’idea del concerto. L’Ensamble è formata da 9 artiste del Coro che si esibiranno con Luisa Prandina, prima arpa dell’orchestra del teatro milanese, e il maestro Nova al flauto. Uno spettacolo con musiche di Debussy e Nino Rota, oltre a Britten con “A ceremony of carols”, raccolta di antichi canti natalizi inglesi. Sono tanti “ponti” che uniscono. Noi come Fondazione non ci poniamo limiti, le arti visive possono essere associate ad altre discipline. È la nostra forza. Mi permetta intanto di ringraziare gli amici imprenditori che hanno scelto di accompagnarci in questa direzione. Ma non finisce qui».
Qual è il prossimo passaggio?
«La mostra ha una sua durata effimera, ma vogliamo che lasci traccia. Mazzucchelli abbandonava le sue opere, poi le fotografava. L’immagine diventava a sua volta un’opera d’arte bidimensionale in cui riscontrare uno spaccato d’Italia. Faremo un volume fotografico che testimonierà la genesi della mostra. Abbiamo coinvolto Bruno Murialdo che ha seguito le fasi del montaggio e tutto il resto».
Sarà una testimonianza del lavoro svolto?
«Sì e l’aspetto sociale è l’altro dato importante: possiamo donare alla comunità qualcosa su cui riflettere. Perché è vero, chi viene nelle Langhe ora magari è attratto dall’enogastronomia d’eccellenza e dal tartufo, ma si porta a casa tanti ricordi tra i quali ci possono essere queste bellissime immagini».
Un messaggio anche per i giovani?
«Certo, del resto mia figlia ha 17 anni. Ne abbiamo parlato con i licei cittadini. Coinvolgere le scuole in attività extra nel pomeriggio non è facile, al classico sono però previsti crediti per chi partecipa. In un periodo di forti dissapori sociali, proporre qualcosa di bello e coinvolgente è fondamentale. C’è bisogno di cultura, nell’epoca in cui questa è soprattutto flash. C’è bisogno di capire, confrontare e riflettere».
Prossimi progetti?
«Abbiamo tante idee e ci sono tanti spazi sul territorio. Qui il movimento è vivo, c’è attenzione per la cultura. Stiamo pensando ad un’iniziativa dedicata alle artiste contemporanee italiane, magari con loro foto e voci, artiste che anni fa non avevano la possibilità di esprimersi».