In strada, davanti alla telecamera, per le dirette del caso di Gulia Cecchettin su Rai 1: l’inviato Alessandro Politi ha raccontato a IDEA il “dietro le quinte”.
Quali sono state le sue sensazioni in quelle giornate trascorse sui luoghi della cronaca?
«Per “Storie italiane”, ho seguito la vicenda dal minuto uno. È stata dura. Abbiamo lavorato con moltissimi colleghi, spalla a spalla, e penso che questa storia ci abbia un po’ cambiato tutti».
In che senso?
«Non avevo mai visto così tanti giornalisti seguire una storia con tanta attenzione, dedizione e partecipazione emotiva. Personalmente ho lavorato anche 15 ore al giorno. Sono stato in Germania, al lago di Barcis dove hanno trovato il corpo di Giulia, abbiamo fatto tantissimi appostamenti. E poi Verona, Venezia, Lipsia, l’autostrada A9 dove l’auto di Filippo è stata ritrovata. Fin dai primi minuti ci aspettavamo quello che poi è stato purtroppo scoperto, ma non in questi termini. Da buon garantista, ho fatto attenzione a non colpevolizzare, a non dare in pasto ai telespettatori una giustizia sommaria. Poi le tracce di sangue a Fossò, la testimonianza del vicino di casa a Vigonovo, la scomparsa dell’auto: uno scenario spaventoso. Aggiungo che da questa esperienza professionale ho imparato tanto, ho visto amore, solidarietà e vicinanza e ho conosciuto un uomo straordinario come Gino Cecchettin».
A proposito, ha potuto conoscerlo da vicino.
«Papà Gino, Elena (la sorella di Giulia) e la mamma di Gino. Ho creato un rapporto se non di amicizia, certo di stima reciproca e affetto. Ho accompagnato Gino a fare commissioni, mi ha chiesto di andare con lui a salutare la moglie Monica e Giulia al cimitero. Mi ha confidato il desiderio di poter fare qualcosa di più, per aiutare chi come Giulia avrà bisogno di sostegno. Ed è nata l’ipotesi di una nuova associazione. Felice di poter dare un contributo».
Sarà mai possibile spiegare il gesto dell’ex fidanzato Filippo Turetta?
«Troppo facile dare semplicemente la colpa ai genitori o alla società. In questo caso ci vorrà tempo per una vera verità. Lui ha dato una prima spiegazione dicendo che Giulia era sua e di nessun altro, per far capire quello che c’era dietro. Con il suo avvocato sta lavorando a una strategia difensiva. Non sappiamo, una volta che gli atti saranno accessibili, che cosa rivelerà l’interrogatorio fiume (9 ore) davanti al pm Pietroni. Questo ennesimo femminicidio arriva in un momento storico dove siamo tutti esausti, non è più accettabile questa situazione. Più avanti si capirà il movente di Turetta, parlare di un delitto d’impeto sembra difficile dopo le sue ricerche su internet, i coltelli e il resto. Ci sono gli elementi per la premeditazione, poi c’è il tema della crudeltà che fa rabbrividire. Vediamo se ci sarà una richiesta per una perizia psichiatrica e se i giudici riusciranno a fare luce su cosa abbia spinto il 21enne a compiere questo gesto ignobile e incomprensibile. Dobbiamo provare a prendere il buono in questa tragedia per evitare che si ripetano ogni giorno casi del genere: come sta facendo Gino, senza odio nel cuore».
In un’intervista, ripresa da tutti, lei gli ha chiesto se perdonerà Filippo.
«Mi ha risposto “non provo odio ma non so se riuscirò a perdonarlo”. Ha poi mandato un abbraccio ai genitori del ragazzo. Per dire dello spessore umano di un uomo che è simbolo del cambiamento. Avete visto il film di Cortellesi? Fa capire qual è l’Italia da dove arriviamo e che deve cambiare».
Perché questo caso ha lasciato un segno più di altre tragedie?
«Nel dettaglio, perché Giulia è sorella, figlia, cugina, nipote di tutti noi. Studentessa brillante, ragazza per bene di una famiglia per bene, educata e colta. Da fuori si poteva dire la stessa cosa di Filippo, studente di ingegneria senza alcun precedente. In seguito sono purtroppo emersi gli atteggiamenti anomali. La violenza ci ha lasciato attoniti, ma ha avvicinato gli italiani e il ruolo di Gino è stato determinante. Vederlo così cortese, educato, integro a un anno dalla morte della moglie per un tumore, vederlo così etico, attento verso il prossimo, tutto questo non poteva che farlo entrare nel cuore di un’Italia che ha grande empatia ed emotività. In generale, questa tragedia è arrivata dopo la morte terrificante di Giulia Tramontano e dopo quella di Yana Malayko – che ho seguito – lasciata in una valigia sotto i rovi nel bosco. I media hanno avuto un ruolo importante di sensibilizzazione, fotografando una situazione troppo grave. Quest’ultima coltellata sociale, morale ed etica è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso».
È vero che la ricostruzione degli spostamenti di Filippo Turetta non è ancora chiara?
«C’è il segreto istruttorio, non sappiamo se qualcuno lo abbia aiutato. Sembra certo che dopo i primi spostamenti verso nord, quando è sul punto di entrare in Austria sparisce per diversi giorni: cosa ha fatto e dove è andato? Era in Germania con 300 euro in tasca e ha dormito in macchina? L’altra anomalia, secondo il verbale stilato dai tedeschi quando è stato fermato sulla A9, è che era diretto da Berlino verso Monaco, cioè stava tornando indietro, fermo in auto ma con i soldi in tasca… Forse l’interrogatorio ha già chiarito tutto e sapremo. Qualcuno, forse inconsapevolmente, potrebbe averlo aiutato. Vedremo».
Recentemente si è occupato anche della questione del plasma iperimmune: ce ne può parlare?
«Alle Iene ne abbiamo parlato dagli inizi del Covid con De Donno e Franchini poi raccontando la pandemia e le difficoltà di medici, pazienti e famiglie. Il fil rouge era il plasma iperimmune, un emocomponente che, donato da pazienti guariti, permetteva di guarire altri pazienti che non potevano combattere la malattia. Si è detto per mesi, per anni, anche contro la scienza, che fosse inutile o addirittura dannoso. Oggi con forza secondo studi accreditati (sul New England Journal of Medicine, bibbia del settore) possiamo dire che il plasma iperimmune nelle prime ore di malattia, è efficace. Molto. Se usato di più avrebbe salvato molte più persone. Non sappiamo perché non sia successo. E un ultimo studio di poche settimane fa ha dimostrato che funziona anche in fase avanzata, non solo preventiva della malattia, in terapia intensiva. Il dieci per cento a cui viene somministrato il plasma anche in fase avanzata, si salva. Il dieci per cento è tanto. Inoltre è una cura efficace anche per gli immunocompromessi, pazienti incapaci di sviluppare una risposta anticorpale adeguata. È motivo di grande dispiacere che la comunità scientifica abbia faticato ad affidarsi a grandi esperti che suggerivano questa strada. Solo il Veneto l’ha applicata e ha avuto ragione».
Come prosegue la sua attività di formatore nell’ambito giornalistico?
«Sono diventato docente universitario a contratto per la Statale di Milano e ringrazio Sergio Splendore per avermi affidato il laboratorio che da gennaio avrà tantissimi ospiti, da Peter Gomez a Paolo Mondani di Report, a Paolo Liguori. Porterò gli studenti nelle redazioni e parleremo di giornalismo investigativo e d’inchiesta. Sono anche docente universitario per un master executive che a breve terrò per l’Università Marconi di Roma. Si realizza il mio sogno di ispirare nei giovani la speranza che ognuno, con la sua gocciolina di positività, possa contribuire a cambiare le cose. Ne ho parlato anche al TEDx di Mantova al Teatro Sociale davanti a 700 persone: “la verità al servizio di tutti”. Il consiglio è sempre quello di non accontentarsi delle informazioni preconfezionate o finalizzate al sensazionalismo. Cercate la vera verità».
CHI È
Giornalista televisivo, dal 2021 realizza servizi di cronaca e collegamenti in diretta per il
programma “Storie italiane”, condotto in studio da Eleonora Daniele su Rai 1
COSA HA FATTO
Ha realizzato inchieste per il programma “Le Iene” su Italia 1, in particolare portando avanti la battaglia per il plasma iperimmune come efficace antidoto contro il Covid
COSA FA
Direttore del corso di videogiornalismo investigativo per l’Academy de Il Giornale, è docente universitario a contratto alla Statale di Milano e al master executive per la Marconi di Roma