Obiettivi, competenza, valori, rivoluzione e fiducia. Si può riassumere così la “vision” del ministro per le Riforme Istituzionali e la Semplificazione Normativa, Maria Elisabetta Alberti Casellati. La abbiamo intervistata a margine della sua recente visita nelle Langhe, iniziata in Municipio ad Alba, proseguita con l’accensione dell’albero di Natale donato alla città dalla famiglia Ferrero e conclusa al Castello di Grinzane Cavour con la cerimonia di consegna del Tartufo dell’Anno.
Ministro Casellati, ha definito il premierato «la madre di tutte le riforme». Perché?
«Perché si pone due obiettivi essenziali: dare stabilità politica al Paese ed eleggere in maniera diretta il Premier».
Stabilità politica, questa sconosciuta…
«In 75 anni di storia repubblicana l’Italia ha avuto addirittura 68 Governi durati in media quattordici mesi… È una tendenza da invertire completamente, perché dalla stabilità politica dipende la possibilità di fare impresa, l’elemento decisivo per favorire la crescita economica, la fiducia dei mercati, la programmazione della “vita”, sia in ambito imprenditoriale che in quello familiare».
Una riforma politica con risvolti economici significativi.
«Sì, anche perché la stabilità politica, in generale, rende l’Italia più credibile e competitiva a livello internazionale. Si parla spesso di “priorità”, come il lavoro, il fisco, le pensioni, le infrastrutture, le famiglie, ma con una successione continua di Governi nessuna riforma può davvero raggiungere gli obiettivi che persegue. Insomma, se le regole cambiano sempre, non si può programmare il futuro».
Insieme al premierato, quale può essere l’altra mossa vincente?
«La semplificazione normativa è un’altra straordinaria leva economica. Questo perché, semplificando le norme, si eliminano passaggi inutili, tempi lunghi, incertezze interpretative. In Italia nasciamo e viviamo nella burocrazia. Un bambino non fa in tempo a venire al mondo che i suoi genitori devono già adempiere a cinque certificazioni in tre uffici differenti: certificato di nascita, attribuzione del nome e del cognome, codice fiscale, tessera sanitaria e scelta del pediatra. A chi vuole aprire un bar va anche peggio: 72 adempimenti che coinvolgono ben 26 uffici pubblici diversi…».
Un problema serio sia per i cittadini che per le imprese.
«Per i cittadini, la burocrazia è ormai quasi come uno stalker; per le imprese, è un autentico freno a mano. E non è tutto».
Prego.
«Il problema riguarda pure la spesa pubblica. Secondo la Cgia di Mestre, la burocrazia costa qualcosa come 250 miliardi di euro l’anno. Una cifra rilevantissima che si potrebbe invece impiegare, ad esempio, a favore delle famiglie, specialmente quelle più fragili. In questo senso, siamo in linea anche con l’Unione Europea: la presidente Von der Leyen ha dato disposizioni precise affinché vengano ridotte le comunicazioni “burocratiche” e questa operazione, secondo un’indagine della Commissione riferita al 2022, ha permesso di risparmiare 7,5 miliardi di euro».
Il vostro Governo come sta agendo su questo fronte?
«Abbiamo eliminato 30mila regi decreti e stiamo provvedendo a redigere testi unici e codici semplificati insieme con i Ministeri degli Esteri, della Scuola, della Disabilità, della Protezione Civile, dell’Ambiente. E per la prima volta impieghiamo, in via sperimentale, l’intelligenza artificiale: può aiutarci a individuare tutte quelle sovrapposizioni normative che rendono difficoltosa lettura e comprensione delle norme stesse non solo da parte dei cittadini ma anche degli addetti ai lavori».
Lei è stata la prima presidente del Senato donna. Da dove si parte per creare una società che non fa discriminazioni di genere?
«Le donne hanno compiuto un processo di emancipazione che ha avuto una velocità diversa rispetto a quella che ha interessato gli uomini e la società in generale. La chiave di volta è quindi la rivoluzione culturale. Una rivoluzione culturale che deve necessariamente partire dalla famiglia ma che poi deve raggiungere le scuole, i posti di lavoro, le istituzioni e tutti i luoghi di aggregazione».
Quali scenari immagina?
«Il traguardo dell’emancipazione delle donne, purtroppo, non è stato pienamente raggiunto. Se si riuscirà a completare questa rivoluzione, raggiungendo quindi la parità di genere, ce ne accorgeremo tutti: in quel momento, un incarico o una nomina che riguarda una donna, come è stata la mia a Presidente del Senato, non farà più notizia. Io sono fiduciosa e credo che, alla fine, la rivoluzione si possa compiere. Del resto, è evidente come talento, capacità, coraggio e visione siano qualità universali, proprie tanto dell’uomo quanto della donna».
Chiudiamo l’intervista con una domanda più personale: lei ha sempre lavorato al fianco di Silvio Berlusconi. Qual è, a suo avviso, l’eredità più grande che ha lasciato?
«Sul piano umano, sicuramente l’ottimismo. Lui diceva sempre: “Chi ci crede, vince”. Aveva la fiducia del “sole in tasca” e l’ha saputa proiettare anche nelle sue decisioni politiche. In generale, Berlusconi è stato un rivoluzionario. È riuscito a innovare la politica, soprattutto con la “scelta di campo”: non una semplice espressione comunicativa, ma un modo concreto di fare, finalizzato a sostituire quell’approccio consociativo di risolvere problemi e situazioni tipico della politica della Prima Repubblica. Inoltre, parlava alla gente in modo diretto, si rivolgeva agli italiani sempre senza intermediazioni. E poi è stato colui il quale, per la prima volta in politica e nelle istituzioni, ha dato voce e rappresentanza alle categorie economiche, ai professionisti, agli agricoltori, ai commercianti. Ci ha lasciato tutto questo e tanto altro, come la sua grande rivoluzione liberale, avviata nel 1994, da completare. E noi la vogliamo portare a termine. Con tanto orgoglio».