Il rito del falò che prende vita e calore, come un’araba fenice che risorge dalle sue stesse fiamme: con un notevole numero di persone che ha scelto di rispondere “presente”, anche quest’anno, alla tradizione portata avanti dai volontari di Valle Casette di Montà. Qui, alla frontiera del Roero verso l’Astigiano, tra boschi e gente che sa cosa significano i sensi del lavoro, dell’amicizia e della voglia di darsi da fare per i propri luoghi di vita, il rogo è tornato a fiammeggiare alla sera di una fredda domenica di febbraio: per scoprire e riscoprire quanto piacere possa dare la sensazione del calore vivo in una notte d’inverno, sentendosi più vicini alla propria terra con tutte le tradizioni, i volti e i segni che l’hanno solcata nel passato.
Un po’ San Valentino, un po’ atmosfera di “carvé vej”, un po’ con il pensiero ai tempi in cui il giorno consacrato alla Madonna di Lourdes fosse sinonimo di una neve che qui è diventata una sorta di chimera: il tutto, ovviamente, con la regia del Comitato valligiano, vero esempio di come si possano fare grandi cose a partire da concetti semplici, e con tanto impegno oltre che senso di attaccamento ai luoghi di vita quotidiana. E’ un frammisto di gesti in bilico tra cristianesimo antico e paganesimo, direbbe qualcuno: o, in maniera più forte, il modo che si aveva qui di festeggiare il carnevale nell’era agricola. Punti fissi del calendario, insomma: nei posti in cui si faceva il vero “canté j’euv”, iniziando la questua nelle case proprio nei giorni del carnevale, come vuole l’atavica regola non scritta, qui presa decisamente alla lettera.
Una vera festa campestre: proprio a ridosso dell’area destinata poi ad essere adibita ai festeggiamenti in onore di S. Giuseppe Lavoratore, che tornerà a fine aprile. E, in luglio, alla popolare “Cena per la vita” a favore dell’Istituto per la ricerca sul cancro di Candiolo e della delegazione albese della Lega italiana per la lotta contro i tumori.