«Cuneo è in crescita ma spero non perda la sua identità»

A colloquio con il matematico Piergiorgio Odifreddi: «Sono tornato a vivere in viale degli Angeli. Da piccolo correvo qui con Franco Arese e volevo diventare Papa. Poi, da ateo, sono diventato amico di Benedetto XVI»

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«Cuneo è una città matematica, anzi geometrica. È un triangolo isoscele per la precisione, con la punta verso Torino e la base che cambia, si allarga». Parola di Piergiorgio Odifreddi, professore, ora in pensione, di logica della matematica all’ Università di Torino e negli Stati Uniti, oltreché celebre divulgatore, nato a Cuneo nel 1950. «Quando ero ragazzo io la base del triangolo era in corso Dante, poi è arrivata in piazza d’Armi, ora è quasi a San Rocco». Lo dice con una punta di malinconia: «Io vorrei che Cuneo non crescesse troppo, altrimenti rischia di perdere la sua identità».

Da qualche anno è tornato a vivere a nella sua città natale, che cosa ama di Cuneo?
«Mia moglie lavora qui, è insegnante. Io vengo ogni fine settimana. Per il resto sono a Torino o in giro per il mondo. Dopo la matematica il mio grande hobby è viaggiare. Ma Cuneo è la città dove sono nato e non si può non amare il posto dove ci sono le tue origini».

Qual è la zona di Cuneo alla quale è più legato?
«Il viale degli Angeli, sono tornato a vivere in questa zona. È un meraviglioso polmone verde, chiuso alle auto. Da ragazzo venivo qui a fare atletica leggera, correvamo con Franco Arese o meglio dietro di lui. Sono stati anni molto belli. Dalla quinta elementare fino alla terza media ho studiato in seminario perché volevo diventare Papa. Poi con l’età della ragione, come dico io, ho smesso di credere alle favole e sono entrato nell’istituto per Geo­metri. A casa mia erano tutti geometri, è stata una scelta un po’ obbligata. E poi ero stufo di studiare latino».

Allora non aveva ancora la passione per la matematica?

«Da geometra si studiava molta matematica, ma non la logica, quella iniziai a studiarla per conto mio al quarto anno, quindi già mi interessava anche perché volevo di­ventare ingegnere. All’epoca poi, arrivando da uno studio scientifico, si potevano scegliere solo facoltà scientifiche. Mi salvò la riforma del ‘69 che liberalizzò la scelta delle facoltà».

Allora decise di iscriversi a ma­tematica?

«Non ancora, la svolta arrivò nell’estate, quando acquistai per caso su una bancarella un libro di Bertrand Russel, “L’introduzione alla filosofia matematica” e fu un colpo di fulmine. È stato illuminante uni­re filosofia e matematica. In fondo tutta la filosofia platonica ha una componente matematica. Mio padre già mi sognava ingegnere e gli venne un colpo. Non riuscì a farmi cambiare idea e mi iscrissi a Matematica. Mi trasferii a Torino, dove mi sono laureato e poi ho insegnato. Per lunghi periodi sono stato anche docente negli Stati Uniti. Oltre a insegnare ho pubblicato tantissimo».

Perché tutto questo interesse per la divulgazione?

«È facile da spiegare: la matematica non interessa a nessuno, la musica ha il vantaggio che la si può ascoltare nelle orecchie anche se non ne capiamo assolutamente nulla, che è la cosa che la maggior parte di noi fa quando andiamo a sentire concerti o musicisti. Purtroppo la matematica non ha queste orecchie, se non mentali, bisogna guardarla con l’occhio della mente come diceva Shake­speare. E allora il modo più semplice è far vedere come la matematica intervenga praticamente in tutti i campi non soltanto della vita quotidiana, perché ormai, essendo così tecnologica, si basa evidentemente sulla scienza e anche sulla matematica, ma anche e soprattutto nei campi della cultura, quindi letteratura, pittura, musica, religione. La cultura è una sola, tutte le materie si intrecciano tra loro. Per questo io per spiegare la matematica ho sempre fatto paralleli con la letteratura, con l’arte, con la musica. Le ultime duecento pagine di “Guerra e Pace” sono matematica pura».

Lei si dichiara ateo, com’è nata l’amicizia con Benedetto XVI?
«È nata in maniera un po’ casuale. Come è noto io sono un non credente e una quindicina di anni fa, nel 2007, avevo scritto un libro sul cristianesimo, forse contro il cristianesimo, che si intitolava “Perché non possiamo essere cristiani”. Quel libro aveva fatto un po’ di scandalo perché i toni non erano proprio quelli adatti per un dialogo. La casa editrice voleva in un certo senso rimediare e la Mondadori mi propose di fare un dialogo con un credente per parlare di questi temi però in maniera meno “urticante”, come mi avrebbe detto il cardinale Ra­vasi in seguito. In realtà, avendo io preso quella posizione, era diventato difficile parlare con i credenti e quindi scrissi un dialogo fittizio commentando l’”Introduzione al Cristiane­si­mo” di Ratzinger, che è un li­bro molto interessante e che mi aveva molto colpito. Scrissi questo libro con una specie di escamotage letterario. Com­men­tavo il libro come se fosse un dialogo e lui parlasse attraverso il suo testo, che poi è quello che Ratzinger aveva sempre fatto, cioè parlare attraverso i suoi scritti oltre che con la voce. Era il 2011 quando uscì quel libro, intitolato “Caro Papa ti scrivo”. Nel 2013, dopo la rinuncia, conobbi un monsignore in curia che era amico di padre Georg Gänswein e gli chiesi se si poteva far avere il libro al Papa, che adesso forse aveva più tempo libero. Prima non avevo mai immaginato di mandarglielo perché un Papa regnante ha altro da fare che stare a sentire i commenti di un ateo. Effettivamente lui lo ricevette, lo lesse e mi rispose con una lunga lettera di una dozzina di pagine. A quel punto chiesi se fosse possibile pubblicare la lettera come appendice a una nuova edizione del libro e mi fu fatto sapere che in realtà il libro doveva essere firmato a due mani, con due nomi. Fu il nostro primo libro, nel 2013. Nacque un’amicizia, fino al Covid ci vedemmo ogni anno».

Anche la sua firma nell’appello alla Regione per il suicidio assistito

Il matematico Piergior­gio Odifreddi, l’attrice e scrittrice Luciana Lit­tizzetto, il magistrato Vladimi­ro Zagrebelski, il gruppo musicale dei Subsonica, il filosofo Giovanni Fornero, il climatologo Lu­ca Mercalli: sono solo alcune delle celebri personalità piemontesi che hanno sottoscritto l’appello promosso dalla Associazione Luca Coscioni per chiedere al Consiglio Regionale di discutere la proposta di legge di iniziativa popolare “Liberi Subito” sul “suicidio medicalmente assistito”.
Oltre 500 firme sono state raccolte in pochi giorni a favore dell’appello al Consiglio Regionale: decine di sindaci, assessori, accademici han­no espresso il loro sostegno alla richiesta dell’Associazione Luca Coscioni. Tra le personalità politiche anche Chiara Appendino, vicepresidente M5S, Chiara Gribaudo, vicepresidente nazionale PD, Gior­gio Airaudo, segretario generale Cgil Piemonte e i sindaci di Biella, Pinerolo, Moncalieri, Settimo  e altri nell’area metropolitana torinese.
In Piemonte, infatti, in sei mesi di tempo, dopo il deposito avvenuto lo scorso 28 agosto delle oltre 11mila firme raccolte a favore di  “Liberi Su­­bito”, la proposta di legge dell’ Associazione Luca Coscioni sul “su­icidio medicalmente assistito”, il Consiglio regionale ancora non si è espresso.  Per questo nei giorni scorsi Marco Cappato e Filomena Gallo, tesoriere e segretaria dell’ Associazione Luca Coscioni, insieme a Davide Di Mauro, Co­ordinatore del Comitato promotore della legge di iniziativa popolare “Liberi subito” avevano rivolto un appello al Presidente della Regione Alberto Cirio per chiedere di discutere la proposta di legge entro la fine della consiliatura. «Se il Con­siglio regionale del Piemonte si sciogliesse prima di aver votato la legge “Liberi subito” lascerebbe senza risposte le persone che soffrono e minerebbe il diritto  alla partecipazione popolare vanificando la richiesta di oltre 11 mila piemontesi» ha dichia­rato Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni.