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L’opinione di Christopher Mims

«Entro il 205o metà dei terreni attualmente destinati alla coltivazione di caffè nel mondo risulteranno inutilizzabili. Ecco le soluzioni...»

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IL FATTO
Deforestazione, crisi economica, inquinamento e aumento dei costi: il caffè rischia davvero di diventare introvabile? che cosa può succedere nell’immediato?

Si calcola che nell’arco di un anno, per rifornire di caffè chi è abituato a consumarne due tazzine al giorno, serve una produzione di almeno venti piante (sempre su base annua). Numeri che aumentano a dismisura ovviamente se riferiti a chi di caffè giornalieri se ne concede qualcuno in più.
Secondo un’analisi pubblicata sul Wall Street Journal e firmata da Christopher Mims, il caffè sta diventando un’abitudine quasi insostenibile: «Considerando la deforestazione di massa – si legge nell’articolo -, le condizioni di povertà dei lavoratori e l’inquinamento dovuto alle emissioni nocive, le previsioni indicano che entro il 2050 metà dei terreni che nel mondo attualmente sono destinati alla coltivazione di caffè, risulteranno inutilizzabili. Con conseguenze che è facile immaginare».
La prima, e già attuale, conseguenza è che gli addetti ai lavori sono alla ricerca di soluzioni alternative, in natura e anche in laboratorio. Il passaggio in apparenza più immediato è quello che chiama in causa i sostituti naturali: lo pseudo-caffè può essere infatti ricavato dalla lavorazione di una serie di ingredienti inclusi ceci, datteri e scarti agricoli o il più esotico seme di Ràmon conosciuto sin dai tempi dei Maya. Altre società preferiscono coltivare direttamente in laboratorio piante da caffè, sfruttando dei bioreattori in maniera analoga a quanto succede per i principi attivi dei medicinali. Qualcosa che ricorda molto ciò che in Italia accadeva durante la guerra, con il caffè indisponibile e le soluzioni che prevedevano l’utilizzo della segale, dei fichi e soprattutto della cicoria. nulla di memorabile: solo il caffè d’orzo è sopravvissuto.
Il finale intanto appare già scritto: quando il caffè diventerà sempre più scarso, i prezzi saliranno e i consumatori probabilmente passeranno in massa a quello più economico (quello “compatibile” e quello artificiale). Soprattutto in quei prodotti in cui il caffè è solo un ingrediente del mix. Lo stesso potrebbe accadere per il cacao, non a caso in questi mesi al centro di rialzi stellari. Nell’analisi di Mims viene anche citato il parere, certamente non disinteressato, di Adam Maxwell, chief executive di Voyager Foods. Secondo il dirigente il sapore del caffè non arriva dal seme ma da tutto il processo di tostatura: «L’esperienza che otteniamo dal caffè o dal cioccolato è in realtà guidata dal processo utilizzato per produrli».
Al netto delle miscele più esotiche forse la soluzione più interessante tra quelle proposte parte dai bioreattori. Si tratta di macchinari in cui è possibile allevare cellule vegetali in un ambiente artificiale. Questa tecnologia è stata usata anche per coltivare piante a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Il risultato? Una volta tostato il sapore dovrebbe essere indistinguibile dal caffè normale. Qui ovviamente arriva però un altro problema: i costi di produzione aumenterebbero e di conseguenza si alzerebbe anche il prezzo al consumatore. Quanto siamo disposti a spendere per tenerci le nostre abitudini?

BaNNER
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