«Cultura significa anche scoprire cose che non ci piacciono»

Attraverso Festival coinvolge 26 comuni e porta la firma di Paola Farinetti: «Ragioniamo sulla vocazione dei luoghi e ci leghiamo a eventi già esistenti. Ospitiamo pure grandi nomi, ma l’operatore culturale deve saper azzardare»

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Tre province e 40 appuntamenti tra concerti, spettacoli teatrali, incontri, dialoghi. Torna, per la sua IX edizione, Attraverso Festival riunendo, dall’11 luglio al 10 settembre, 26 comuni delle province di Cuneo, Asti e Alessandria attraversando i territori inseriti nella World He­ritage List di Langhe, Ro­e­ro, Monferrato e dell’Ap­pennino piemontese. Sin dal­la sua prima edizione, il Fe­stival ha portato la sua offerta culturale e artistica sia in piccoli paesi tra colline e vallate, sia in città più popolose, unendo il territorio sotto il segno dell’arte e della bellezza. L’obiettivo è abbattere le barriere culturali e le frontiere, sia immaginarie che reali, tra le province, rispondendo al bisogno collettivo di una socialità condivisa per rileggere la realtà e migliorare la qualità della vita insieme. Ne abbiamo parlato con la direttrice artistica Paola Farinetti che, insieme a Simona Res­sico, ne cura il palinsesto.

Ma come nasce il Festival?

«Siamo alla 9a edizione e il festival è ormai acclarato e saldo nei territori del Pie­monte meridionale. Nasce dall’idea di valorizzare ulteriormente i paesaggi Unesco riunendo un’unica manifestazione di paesaggi uguali e al contempo diversi per bellezza. Attraversiamo un territorio vastissimo: il Festival copre quasi 200 chilometri di territorio fino al versante dell’Appennino al confine con la Liguria, coinvolgendo 26 comuni che spesso dicono di voler fare rete ma raramente riescono a mettersi concretamente intorno a un tavolo. Attraverso i nostri spettacoli, è possibile scoprire angoli del Piemonte poco conosciuti o dati per scontati. Ad esempio, dall’inizio del Festival, portiamo spettacoli a Libarna, un’antica città romana con un’importante area archeologica che ha svolto un ruolo fondamentale nel passaggio tra il mare e il resto del continente. Tuttavia, pochissimi piemontesi conoscono gli scavi di Libarna, nonostante siano a soli 3/4 chilometri dall’outlet di Serravalle Scri­via, che tutti conoscono. Il Festival accende le luci su queste ricchezze spesso ignorate, promuovendo la cultura e la cultura del cibo, altro aspetto fondamentale di questo territorio. Il Festival è quindi un viaggio attraverso paesaggi, generi e differenti linguaggi artistici, come teatro, musica, letteratura e incontri».

Come si decide dove collocare gli eventi. Il dove fare cosa, insomma?
«Il Festival è anche un attraversamento umano: collaborare con 26 comuni significa parlare con almeno 10 persone diverse ogni volta, instaurando rapporti molto stretti. Lavoriamo con un gran nu­mero di persone e il Festival dura tutto l’anno. Ragio­niamo sulla vocazione dei luoghi e non imponiamo mai nulla dall’alto. Un approccio che ci permette di durare nel tempo. Di solito, i festival ignorano le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione. Noi, invece, ci leghiamo a manifestazioni già esistenti o riempiamo un periodo diverso dell’anno. Ad esempio, a Monleale nell’Alessandrino, durante la Festa del Salame Nobile del Giarolo, abbiamo organizzato un incontro sui grandi bianchi piemontesi che negli ultimi 10 anni hanno saputo conquistarsi uno spazio importante – Timorasso, Arneis e Gavi – coinvolgendo i tre grandi produttori Bruno Ceretto, Walter Massa e Stefano Moccagatta a cui seguirà una passeggiata fino a Ca’ del Picco in un concerto della Bandakadabra e una degustazione enogastronomica di prodotti tipici del territorio. Poi il Festival ospita anche grandi nomi. A Bra, che anche grazie alla presenza dell’Università di Scienze Gastronomiche ha una vocazione giovane, avremo Max Gazzè in concerto. A Saluzzo abbiamo il sold out di Alessandro Barbero, nostra rockstar della storia. Que­st’anno abbiamo introdotto anche un po’ di stand-up comedy… ce n’è per tutti i gusti. A Libarna ci sarà Angelo Branduardi. A La Morra, an­drà in scena “Canto d’Acqua”, un reading musicale con Cristiano Godano e Telmo Pievani, che unisce arte, poesia e scienza per discutere un tema ambientale importante. Ci saranno Mau­ro Pagani, Raphael Gualazzi, Arianna Safonov, Christian Greco, Gianrico Carofiglio…».

Quanta Paola c’è in questo Festival?

«Tanta. Immagino la cultura come un campo largo, come cultura di scoperta, perché bisogna saper andare anche su “cose che non ci piacciono”. I “grandi nomi” servono per lanciare anche nomi meno conosciuti. Cerchiamo di guidare il nostro pubblico, creando un rapporto di fiducia che permetta di scoprire nuovi talenti. Questo è anche il compito dell’operatore culturale: portare cose che gli spettatori non conoscono. È ciò che faccio con la Fon­dazione Mirafiore: chi fa questo lavoro deve anche avere il coraggio di azzardare».

Ogni anno il Festival propone una parola guida: quest’anno è “Comunità”.
«Sì. L’anno scorso erano le “Parole Nuove”. L’idea è che ci servano parole nuove per affrontare il senso di disagio e proprio la “comunità” può essere la soluzione. Si tratta di due concetti molto legati perché negli ultimi anni siamo diventati un po’ isole, con pochi legami. Ritrovarsi intorno a uno spettacolo, a un incontro, a un concerto, può aiutarci a ritrovare quel senso di comunità che spesso dimentichiamo. È ciò che cerchiamo di portare avanti sin dall’inizio. E poi c’è la comunità dei Comuni che fanno rete».

Infine, ha in cantiere progetti futuri, nuove “intuizioni”?
«Spero di continuare in ciò che faccio, da cui spesso emergono nuove idee. L’ope­ratore culturale si prende la responsabilità di decidere cosa proporre. Dal teatro ho imparato il valore della squadra: dall’attore sul palco a chi vende i biglietti, siamo tutti anelli di una stessa collana. Se ne manca anche solo uno, quella stessa collana è meno bella».

Articolo a cura di Erika Nicchiosini