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anche in piemonte una veuve clicquot: è giulia di barolo

Donna straordinaria, impegnata nel sociale. Si deve a lei l’eccellenza del vino langarolo

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Piemonte terra di uo­mini e donne straordinari. Ad esempio Ju­liette Colbert de Maulévrier, meglio conosciuta come Giulia di Barolo. Benefattrice impegnata nel sociale, la Marchesa Giulia Fal­letti di Barolo ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della città di Torino che a lei ha intitolato una via e la chiesa che sorge nel cuore del quartiere Vanchiglia.
Ma il suo nome si lega indissolubilmente anche a quel pregiato prodotto vitivinicolo che è, come facilmente intuibile, il Barolo. Nata a Maulévrier, regione francese della Van­dea, nel 1786, Giulia Colbert marchesa di Barolo, è una delle figure femminili più si­gnificative dell’800, in anticipo sui tempi sotto molti aspetti. Secondogenita dei conti Colbert e di quel Colbert che fu ministro delle finanze di Luigi XIV, il re Sole, la sua famiglia fu travolta dal furore della rivoluzione francese e co­stretta all’esilio. Nel 1799, con l’insediamento di Napo­leone Bonaparte al governo, il padre Edouard Colbert – nel frattempo rimasto vedovo -tornò in Francia con i figli ed entrò a far parte della corte dell’Imperatore. Fu proprio alla corte imperiale che Ju­liette conobbe il futuro marito, il marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo, discendente di una delle più importanti famiglie aristocratiche del Piemonte. Accomunati dalla stessa sensibilità, nel 1806 i due convolano a nozze a Parigi e nel 1814, con il ritorno dei Savoia a Torino, si stabilirono definitivamente a pa­lazzo Barolo, nella capitale sa­bauda. Sensibile e devota, af­fiancata dal marito, la Mar­chesa si occupò per tutta la vi­ta dei più bisognosi, soprattutto bambini poveri e donne a rischio. La coppia aprì numerose case d’accoglienza e si impegnò nella riforma delle carceri femminili piemontesi, con un impatto che travalicò i confini italiani. Giulia di Barolo fu la prima donna a es­sere nominata su dispaccio del re Carlo Alberto, sovrintendente del carcere femminile di Torino. Un incarico che ottenne dopo aver lottato per migliorare le condizioni disumane delle detenute. Nelle pri­gioni piemontesi, spesso sovraffollate e fatiscenti, le re­cluse vivevano tra gli stenti, e molte vi si trovavano non per crimini violenti, ma per furti dovuti alla povertà o per prostituzione. La Marchesa si distinse per la sua opera educativa e morale, insegnando alle detenute a leggere e scrivere, e favorendo il loro recupero sociale attraverso il lavoro e la dignità. L’impegno fi­lantropico si estese alla fondazione di scuole, asili e ospedali per i bambini poveri e disabili. Ispirata da esperienze in­ternazionali, Giulia introdusse in Italia modelli educativi innovativi per l’infanzia e per le giovani operaie. Un’eredità che vive ancora oggi, attraverso l’Opera Pia Barolo.
Ma non furono solo le opere pie a catturare le attenzioni del­la Marchesa. Nella Torino del XIX secolo, il salotto di Giulia e Carlo Tancredi di Ba­rolo divenne centro di dibattito e cultura, frequentato da intellettuali e politici, tra i quali il giovane Camillo Benso di Cavour che con la Marchesa intrattenne un profondo legame d’amicizia. Che lascerà un segno importante anche nella storia del vino. Fu Giulia, alla morte del marito, come accadde in Francia per la vedova Clicquot, ad acquisire tutte le proprietà della famiglia Fal­let­ti compresi i numerosi vigneti nei territori delle Langhe a Barolo, Serralunga, Castiglio­ne Falletto. Qui, di fronte alle vigne maestose, intuì le po­tenzialità di quel vino che an­cora oggi ne porta il nome. Con l’aiuto del Conte di Ca­vour, nel 1840, Giulia chiamò l’enologo francese Louis Oudart per ottenere il massimo da un prodotto vinificato secco e atto all’invecchiamento attraverso tecniche utilizzate per i grandi vini francesi. La Marchesa scrisse così una del­le prime pagine della storia del barolo moderno, rosso di alto rango che divenne ben presto il vino della corte sabauda raggiungendo il successo anche fuori dai confini del Regno di Sardegna. Il barolo, così perfezionato, cominciò a essere of­ferto agli invitati durante i ban­chetti e dato in regalo a personalità importanti a livello internazionale.
Celebre un aneddoto secondo cui il re Carlo Alberto chiese a Giulia di Barolo quando gli avrebbe fatto assaggiare quel vino tan­to celebrato delle sue tenute. «Molto presto», fu la risposta della Marchesa. I torinesi assistettero dopo poco a una singolare processione di botti di vino in via Nizza: erano 325 botticelle di barolo trasportate con una lunga fila di carri di­retti a Palazzo Reale. Una per ogni giorno dell’anno esclusi i 40 giorni della quaresima durante i quali anche il re avrebbe dovuto osservare il precetto cattolico dell’astinenza e del digiuno. Nacque così il Re dei Vini. Il Vino dei Re.

Un film sulla regina dello Champagne, aspettando quello sulla contessa amica di Cavour

Una storia di grande merito, imprenditorialità, resilienza al femminile. È la storia di Madame Clicquot, conosciuta come Veuve Clicquot, figura fondamentale nell’enologia moderna che, rimasta vedova a 27 anni, prese le redini dell’azienda di Champagne del marito e la portò a essere ciò che conosciamo oggi, sfidando i pregiudizi di chi mai in quell’epoca si sarebbe immaginato una donna alla guida di una cantina, ignorando quel legame che spesso in futuro avrebbe legato donne e vino.
Oggi quella storia è celebrata nel film “Madame Clicquot” – appunto – uscito nelle sale italiane il 12 settembre per la regia di Thomas Napper con l’espressiva Haley Bennet nei panni della giovane vedova francese.
Barbe Nicole Clicquot Ponsardin nata a Reims, nel cuore della Champagne, nel 1777, rivoluzionò il mercato vitivinicolo della regione traghettandolo nella storia e nel futuro e meritando a pieno titolo il soprannome di “Gran Dama dello Champagne”.
La pellicola ne mette in risalto non solo il grande talento imprenditoriale, ma anche il suo ruolo nella lotta per l’emancipazione femminile, l’emotività, la caparbietà e il coraggio di una giovane all’avanguardia che con la sua determinazione e visione innovativa introdusse diverse rivoluzioni nel mondo dello Champagne. Tre queste il primo Champagne vintage, il rosé per assemblaggio e la table de remuage, presto adottata da ogni produttore di bollicine in tutto il mondo e non solo in Francia. (E.Nic.)

Articolo a cura di Erika Nicchiosini

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