Quei temperini giganti della Cantina Destefanis che diventano neri, somma di ogni colore

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L’autunno? E’ un’epoca sempre strana, ogni volta diversa: cui non si è mai preparati, nonostante tutti i buoni propositi stilati nell’ideale agenda che ognuno di noi ha nelle piccole tasche dei corti vestiti dell’estate.
Lo diciamo ogni volta, ad ogni giro di calendario, come un mantra: “Mi abituerò al non godere più dei giorni lunghi e del loro sole: e con me ci saranno la mia pelle più coperta, le mie pupille rassegnate a stringersi. Sarò pronto a questo cambiamento: così come, del resto, devo fare per ogni volta in cui le cose mutano”.
Eppure, ci caschiamo ogni volta.
Ma c’è un premio, per tutto ciò: a patto di saperlo cogliere, di volerlo. E di goderne.
Sono i colori intensi di questo periodo: e i suoi profumi. Quelli della terra che respira umida, quando il sole torna a splendere per qualche ora, e ci ricorda che fa conto di rimanere lì, nei suoi giri tra il giorno e la notte, ancora per qualche miliardo di anni, indipendente dal tocco talvolta folle dell’umanità inquieta.
Sono le canzoni, come quella di Francesco Guccini, che anni fa si accompagnava con la chitarra per dire che: «Non so se tutti hanno capito Ottobre, la tua grande bellezza: nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza».
Tutto scorre, tutto cambia, tutto torna: anche i monumentali “temperini” che dallo scorso anno troneggiano nella rotatoria d’ingresso a Canale, per chi entra nel Roero dalla direttrice di Alba. Li aveva promossi, in una geniale intuizione, la Cantina Destefanis di Valpone, in stretta sinergia con Andrea Guido Collectors Studio: seguendo il motto che recita “Facciamo anche il vino”, nuovo passo di un cammino tra creatività e vitivinicoltura di qualità che, in questi anni, ha saputo balzare tra idee riuscite come la “Taula Luuuunga” tra le vigne di proprietà a Piobesi d’Alba, la “Taula Storta” nei luoghi di vita, di vino, di affetto e di lavoro del vigneron Federico Destefanis e della moglie Roberta Roagna, e della loro bella famiglia, a fianco di altri progetti come “Renòquattro” (diciamocelo francamente: chi altri avrebbe avuto l’idea di accompagnare la gente tra vigne e vendemmie con la popolare automobile francese?), “L’île” come punto quasi mistico in mezzo alla natura, e lo “Spazio abbastanza carino”, sorta di caveau di degustazione in cui sembra che Kubrick abbia incontrato il mondo enologico, un “sancta sanctorum” in cui gli spazi paiono annullati, e ogni attenzione si concentra in quel risultato che, dalla vigna, si muove fino al bicchiere.
I temperini, dicevamo: che, in questi giorni, hanno fatto la muta come un serpente piumato, una divinità precolombiana.
Dal candore originario, ad toni più scuri, come tutta la natura circostante: metafora di una nuova epoca dell’anno, dalla luce della stagione della speranza, ai temi più cupi, ma fruttuosi, di ciò che accade dopo.
Colonna sonora ideale? Tra il “Back in black” degli Ac/Dc a “Back to black” dell’indimenticata Amy Winehouse, che tra nome e attitudini, ma anche talento sconfinato, qualcosa con il vino lo ha avuto bene a che spartire.
Sono diventati neri, quei temperini: repentinamente, senza preavviso. Proprio quando erano ormai diventati un qualcosa che si era abituati a vedere, spesso anche come oggetto d’affezione per chi vive qui -ognuno con i propri punti di vista- e a suo modo attrattivi per i visitatori.
C’è da giurare che questa sia la nuova fase di una “provocazione creativa” che prosegue, ed è di stimolo: ben accompagnata anche dal nuovo slogan che recita “Facciamo anche il vino…senza idee”, con le due ultime parole che sono un’ideale “coda” al claim, al concetto iniziale.
Dal bianco al nero, come un film: «Perché -dice lo stesso Federico- così come nella fisica il nero rappresenta l’assenza di colore, secondo la tecnica sottrattiva questo è invece, al contrario, la somma di tutti i colori». E quindi, di ogni pennellata di una vita fatta del frutto del lavoro, da cui trarre infine beneficio: di cui il vino costituisce un esempio pressoché proverbiale, con infiniti legami tra il mondo classico, le Sacre Scritture, la modernità e l’avvenire.
Del resto, la Cantina Destefanis ci ha abituato anche a questo: svolgendo una bella funzione darwiniana nella crescita di un Roero che ha bisogno di nuovi impulsi, e sempre rinnovati slanci, senza mai copiarsi né copiare.
I temperini non aguzzano solo matite: ma anche l’inventiva, a ben vedere, leggendo tra le righe di filari mica tanto immaginari.
Per il momento, non resta che fare caso a questi temperini cupi: ricordando che l’ora più buia della notte è sempre l’ultima. Ma poi arriva il risveglio, e un nuovo giorno da vivere intensamente