«Ho radici cuneesi e il Roero nel cuore assieme a Peveragno»

Paolo Chiavarino è assessore a Torino: «Ma sono cresciuto sotto la Bisalta e poi a Corneliano d’Alba»

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Assessore al Com­mercio e ai Mercati di Torino, torinese di nascita, ma legato a doppio filo alla Granda. E non è un modo di dire: Paolo Chiavarino, 64 anni, ha una duplice provenienza Cuneese: «Mia mamma era di Peveragno, mio papà di Corneliano d’Al­ba».

Andiamo per ordine, partiamo da Peveragno.
«Lì ho trascorso infanzia e adolescenza, ho assorbito dialetto e consuetudini ai piedi della Bi­salta, tra Boves e Chiusa Pesio, frequentando l’istituto di formazione salesiana Madonna dei Boschi e imparando il rispetto per le istituzioni, l’educazione, lo sport e la cultura».

Significa che le sue radici sono nel Cuneese?

«A Torino sono nato nell’area dell’innesto autostradale che favoriva il pendolarismo con quelle zone. Andavamo anche dai cugini a Roccaforte Mon­dovì, ma la mia base è stata a Peveragno. Sono cresciuto lì tra profumi e sapori, nel paese del­le fragole. Io stesso andavo a raccoglierle quando avevo 6-7 anni e mi riconoscevano anche una paghetta: era uno stimolo in più, ma per me che arrivavo da Torino non aveva prezzo vivere nella natura. Poi, con gli amici, andavamo a pescare nei torrenti e non mancavo mai alla festa della Madonna del Bor­gato di metà settembre».

Altri ricordi?
«Dalla finestra della mia camera, a Peveragno, vedevo la statua di Vittorio Bersezio che fu fondatore e direttore della Gaz­zetta Piemontese, poi La Stam­pa, autore della commedia “Le miserie ‘d Monsù Travet”. E cito anche il maggiore Pietro Toselli, altro peveragnese illustre, eroe di Amba Alagi, dove morì, in Etiopia. Poi ci sono i ricordi legati alla politica, ero già democristiano in un am­biente socialista, legato alla lotta partigiana».

Veniamo prima al legame con Corneliano d’Alba.
«Devo citare anche Cuneo, dove ho cugini che gestiscono la gioielleria Tassone e altri a Borgo San Dalmazzo che han­no la Speas, azienda di termoidraulica. L’altro luogo del cuore è Corneliano, il paese di mio papà, cuore del Roero ai bordi delle Langhe. Un territorio che mi ricorda la Romagna per il carattere aperto e simpatico delle persone, capaci di trasformare le terre sabbiose, dove arrivava il mare, in terreni fertili. Penso anche alle rocche, alle storie delle masche (che c’erano anche a Peveragno, ma erano più streghe e qui invece più simili a mago Merlino). Penso ai vini, in particolare all’Arneis e alla Favorita, la Tenuta Carretta dei Miroglio, i comuni vicini come Vezza, le Cantine Negro, Chicco, Cornarea o Valdinera».

Altro legame: i Cavalieri dell’ordine di San Michele del Roero.
«Ci sono entrato 30 anni fa con il maestro Carlo Rista, già direttore generale di Banca d’Alba, che è stato per me una guida fondamentale. Ha fatto tanto per il rilancio dei 24 comuni della Sinistra Tanaro. Con la banca ha seguito una logica di apertura all’economia e al commercio, aiutando i contadini con i mutui, operando con at­tenzione e generosità, la stessa riservata ai giovani con le borse di studio».

E poi c’è Torino.
«Che con il Roero nel corso dei decenni ha sempre avuto un interscambio: 20mila famiglie sono arrivate da questo territorio fin dal Dopoguerra, mentre la Langa è stata geograficamente più orientata verso Milano. Io vivo questa triplicità: torinese, peveragnese e cornelianese».

Un mix speciale.
«Significa tanto. Corneliano ha una storia medievale e prima, romana. Peveragno è più laterale, aveva il vescovo di Asti, era possedimento dei marchesi di Saluzzo che però è occitana, se non saracena perché il passaggio da Garessio favorì le incursioni e per quello ci sono tanti piemontesi di carnagione scu­ra. Per la mia formazione devo tanto a nonna Quintina, era cantante e a 82 anni faceva ancora tremare i vetri delle finestre con i suoi acuti. Era simpatica, buona e determinata».

Scommetto che ha un aneddoto anche legato alle Langhe.

«Dovevo andare a prendere uno zio a Baudana di Ser­ra­lunga per portarlo in visita al Museo del Cinema (a proposito io e Zanetti proponemmo la Mole come sede contro l’ipotesi del Palazzo degli Stemmi in via Po), mi accolse al mattino presto annunciandomi una ric­ca colazione. Era panificatore, pensai ai biscotti, invece mi offrì le “tumatiche” appena raccolte nell’orto assieme a ottime pe­sche e nocciole».

E la politica?
«I miei primi passi li ho mossi con Valter Martini, poi con il Conte Edoardo Calleri di Sala, primo presidente della regione Piemonte, ma anche con l’onorevole Giuseppe Costamagna e il costituzionalista Franco Piz­zetti. Tutti personaggi di rilievo. Sono entrato in Consiglio comunale a Torino con la Dc nel 1985, eletto a 24 anni con 4.380 voti, ho fatto sei mandati di fila prima di una parentesi a Rivoli e di nuovo a Torino per altri due mandati. Sono stato al fianco di Giovanni Goria che era candidato nella circoscrizione di Alessandria, Asti e Cuneo. La mia famiglia, molto radicata a Torino, aveva un grande ne­gozio di prodotti caseari al Lingotto, c’era sempre la coda fuori, ho dato una mano prima che la politica prendesse il sopravvento, dopo la morte di mio papà per infarto. Sono figlio unico, sono stato molto amato da mia mamma e dagli zii. Ho ricambiato tutto questo amore, ancora oggi sento di dover restituire ciò che ho ricevuto. Ho preso da mia nonna che era estroversa come me».

Che cosa le ha permesso di fare la politica?

«Mi ha permesso di conoscere tante persone diverse, dai capi di stato ai banchieri fino a chi sbarca il lunario tutti i giorni, i clochard. Nel quartiere tutti mi conoscono e tratto tutti con lo stesso rispetto. Sono stato an­che animatore catechistico, da giovane, e ritengo molto preziosa quell’esperienza a contatto con tanti giovani. Ero un 20enne che doveva gestire 15enni con un ruolo maturo restando però sulla stessa lunghezza d’onda, un bell’esercizio di educazione civica direi. Conobbi inoltre i medici destinati a partire per altri paesi, con loro anche i missionari. Nel complesso, un’esperienza forgiante».

Torino e il Cuneese: non trova che bisogna ancora fare tanto per favorire i collegamenti, sotto ogni profilo, logistici e culturali?
«Io promuovo sempre il “ge­mellaggio”, ma spesso constato che a Torino ancora in tanti non conoscono neppure i vini del Roero. Dobbiamo parlarne di più e la congiuntura è favorevole, grazie al presidente Cirio -langhetto che ha sposato una roerina – e al sindaco Lo Russo, altri paladini di questa “battaglia”. I turisti che arrivano a Torino devono poter scoprire Langhe e Roero e viceversa, come altre zone magnifiche. Ci sono progetti per avviare nuovi treni, per favorire il cicloturismo. E perché non proporre per esempio agli albesi di scoprire gli altri vini piemontesi?»